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Scuole paritarie,

uno scandalo italiano.

Latella: “Così violano legalità, laicità e pluralismo”

Intervista di Marina Boscaino - MicroMega -

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Paolo Latella. Professione: docente tecnico pratico, pubblicista, consulente del Tribunale di Lodi. Questo elenco di titoli non è casuale. La sua pubblicazione, Il libro nero della scuola italiana (scaricabile online gratuitamente oppure acquistabile in versione cartacea al solo costo della stampa) tiene dentro la passione del docente, il rigore documentario del giornalista e la capacità del consulente giuridico di individuare strade di deviazione dalla norma. 

Si tratta di un documento impareggiabile, considerando la mole di dati, notizie, testimonianze che Latella è riuscito a mettere insieme su uno dei temi più scottanti e meno approfonditi del sistema di istruzione italiano: lo scandalo di (alcune) scuole paritarie, vedremo quali; la violazione insistita (intrinseca all'istituzione della scuola paritaria stessa, prevalentemente confessionale) del principio di laicità e di pluralismo cui il sistema dovrebbe informarsi, quando esso produca “oneri per lo Stato”. 

La contraddizione intrinseca risiede nel fatto che il gettito dalla fiscalità pubblica alle scuole paritarie insiste su istituti che, appunto, per loro stessa natura, non sono per la maggioranza laici e pluralisti, bensì improntati al dogma religioso. Le due deviazioni configurano – come vedremo – conseguenze e considerazioni diverse, talvolta convergenti ed intersecantesi, altre no. 

Il sistema paritario, complesso e articolato, viene concepito nella attuale concretizzazione attraverso la legge 62/2000 che – dopo lunga e faticosa trattativa tra i componenti dell’allora Ulivo, in cui spiccava una consistente rappresentanza di Popolari, cattolici riformisti, desiderosi di restituire agli istituti confessionali un ruolo prioritario sul piano dell’istruzione nazionale – al comma 4 riconosce la parità scolastica a quegli istituti che ne facciano richiesta e che abbiano: 

a) un progetto educativo in armonia con i principi della Costituzione; un piano dell'offerta formativa conforme agli ordinamenti e alle disposizioni vigenti; attestazione della titolarità della gestione e la pubblicità dei bilanci; b) la disponibilità di locali, arredi e attrezzature didattiche propri del tipo di scuola e conformi alle norme vigenti; c) l'istituzione e il funzionamento degli organi collegiali improntati alla partecipazione democratica; d) l'iscrizione alla scuola per tutti gli studenti i cui genitori ne facciano richiesta, purché in possesso di un titolo di studio valido per l'iscrizione alla classe che essi intendono frequentare; e) l'applicazione delle norme vigenti in materia di inserimento di studenti con handicap o in condizioni di svantaggio; f) l'organica costituzione di corsi completi: non può essere riconosciuta la parità a singole classi, tranne che in fase di istituzione di nuovi corsi completi, ad iniziare dalla prima classe; g) personale docente fornito del titolo di abilitazione; h) contratti individuali di lavoro per personale dirigente e insegnante che rispettino i contratti collettivi nazionali di settore. 

Si tratta di una norma che ha fatto discutere ed è destinata a far discutere a lungo. Innanzitutto per lo stravolgimento e la manipolazione che – con il passare del tempo – se ne è fatto, trasformando il dettato dell’art 33 della Costituzione - “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato” - in un anomalo quanto continuo finanziamento dello Stato a favore delle paritarie. Tanto più clamoroso, quanto più mantenuto inalterato negli ultimi anni, quando il combinato tra la “riforma” Gelmini e l’azione degli altrettanto pericolosi successori di quel ministro e la crisi economica hanno abbattuto i finanziamenti a favore della scuola statale. 

Il sistema si configura più o meno come un insieme di realtà molto differenti: prevalentemente istituti religiosi; scuole dell’infanzia e poche scuole primarie comunali (motivo per cui il referendum di Bologna più di un anno fa propose agli elettori il quesito secondo il quale si preferiva affidare esclusivamente alle scuole pubbliche o anche alle scuole private – le scuole dell’infanzia religiose – i fondi pubblici), i diplomifici (quelli della compravendita dei diplomi, che non assolvono ai requisiti previsti dalla legge 62, e che – ciò nonostante – continuano ad operare indisturbati, in alcune zone del Paese persino gestiti dalla mafia locale). La prima e l’ultima categoria di istituti godono di privilegi e finanziamenti producendo effetti devastanti ora sul piano della laicità, ora su quello della legalità. 

Il "Libro nero della scuola italiana" si configura come un’inchiesta in 17 capitoli (vedi l'indice nel box a fianco) che fa riflettere sull’illegalità nell’istruzione italiana (pubblica e privata) e le pressioni di Cei, Compagnia delle Opere e Opus Dei per la completa parità scolastica delle scuole religiose. 

Prima di leggere l'intervista a Paolo Latella, un piccolo passo indietro. Il 28 giugno 2013 Latella, docente di Lodi del sindacato Unicobas, invia all’allora ministro dell’Istruzione Carrozza un dossier sulla situazione delle scuole private nel nostro Paese. Passano più di 7 mesi e il 7 febbraio 2014 il dr. Bani, segretario del ministro, chiede a Latella di inviare nuovamente il dossier. Sappiamo tutti che in quella data il governo Letta era già “bollito” e il “bacio di Giuda” stava per essere stampato sulla guancia di Letta (“Enrico, stai sereno”…). Forse Carrozza, quasi in procinto di preparare gli scatoloni, aveva sentito la necessità di consultare quel materiale, che si annunciava denso di contenuti “problematici”. 

Dal nuovo reinvio, ricevuto dall'attuale ministro Stefania Giannini – che peraltro si è segnalata per la particolare ostinazione con la quale ha difeso a spada tratta il sistema paritario, considerandolo perfettamente equipollente alla scuola statale – è passato molto tempo, ma nessuna risposta è stata fornita. Forse, se la Giannini desse un’occhiata al Libro di Latella, esprimerebbe più cautamente il proprio entusiasmo, considerando la vergogna (istituzionalizzata, avallata dal sistema) che si perpetra quotidianamente, in particolare nei diplomifici italiani; rimanendo tuttavia impassibile, se ne può essere certi, alla altrettanto grave violazione che ha portato alcuni poteri forti – Opus Dei, Compagnia delle Opere – a gestire e a orientare in maniera determinante le politiche, le decisioni e le scelte del Miur. 


Come ti è venuta in mente l’idea del libro? 

Innanzitutto c’è stata la volontà di “smuovere le acque” del pantano dell’istruzione paritaria. Dopo aver ricostruito – attraverso testimonianze prima faticosamente ricercate, poi giunte copiose sul mio telefono e sulla mia scrivania – la Cartina della vergogna, mi è capitato di esser ricevuto al Miur lo scorso 17 settembre, durante lo sciopero del mio sindacato, l’Unicobas. Lì alcuni dirigenti mi hanno chiesto di approfondire. Peraltro, lo scorso maggio l’on Silvia Chimienti (M5S) aveva presentato un’interrogazione parlamentare che, sulla scorta del dossier, chiedeva delucidazioni sulle testimonianze anonime rese dai docenti di scuole paritarie di diverse zone d'Italia che, al fine di vedersi attribuito il punteggio in graduatoria per il servizio prestato, accettavano stipendi troppo bassi o addirittura non ricevevano alcun compenso. Sono andato avanti. Non potevo fare diversamente. 

Qual è la tua posizione rispetto alla legge di parità? 

Chiara. Sono contrario al finanziamento alle scuole paritarie. Esse hanno la possibilità di inserirsi nell’alveo del sistema di istruzione nazionale, ma “senza oneri per lo Stato”, autofinanziandosi integralmente. Si tratta quasi sempre di un raffinato prodotto aziendale, anche di altissimo livello. Se l’idea iniziale nella scrittura di quella norma poteva essere mettere ordine nella giungla dell’istruzione privata, il libro evidenzia come la vegetazione si sia ulteriormente infittita, dando luogo ad una situazione scandalosa. 


Quali gli episodi e i racconti più sconcertanti proposti dal "Libro nero"? 

Catania: una collega mi scrive diverse volte. Ha lavorato facendo qualsiasi cosa nella scuola. Dopo che vengono pubblicati il dossier e la Cartina della vergogna, mi racconta delle minacce subite dalle colleghe perché non avrebbero avuto più punteggio se la sua testimonianza avesse suscitato l’interesse e i provvedimenti di qualcuno. Omertà e mantenimento del sistema – pur di lavorare – la fanno da padroni, anche nelle situazioni più deprivate. 
Campania: la camorra gestisce molto, anche il catering per i bambini delle scuole primarie. Lì le scuole statali sono 217, contro le quasi 400 paritarie. Un business alla faccia del contribuente. Gli oneri per lo Stato ci sono eccome, e non solo in termini economici. Per esempio, per la conseguente devoluzione di diritti, in primis diritto al lavoro tutelato da norme riconosciute e condivise. Scempi pseudo-contrattuali o addirittura in nero, che fanno leva sulla necessità di lavorare di tante persone. Assenza di contributi, condizioni di lavoro infamanti, spesso collusione con la camorra. 
Ho saputo di docenti che vanno a fare le pulizie a casa del titolare della scuola paritaria in cui lavorano. Assunzioni a fine settembre, fino alla fine di maggio: disponibilità massima. Esami di Stato gratuiti. 
Se vuoi lavorare, le condizioni possono essere anche queste, prendere o lasciare. E l’esame deve avere un risultato vantaggioso per i “clienti” (che hanno pagato): altrimenti torni a casa. 


Quale la geografia di massima del sistema paritario? 

Dal Sud fino a Roma: si lavora per il punteggio, a salari bassissimi. Da Roma in su vige un altro sistema: qualsiasi sia il tuo titolo di studio (anche non quello richiesto per quell’insegnamento) riesci a lavorare: senza titoli e quindi a salario più basso; tanto – con quel titolo – non avresti avuto accesso all’insegnamento, quindi del punteggio non ti interessa nulla. Poi ci sono le scuole d’elite, con docenti che prendono anche 1700-1800 euro mensili. Le collusioni esistono dappertutto, persino nelle regioni che hanno storicamente espresso un livello di cittadinanza più alto e consapevole. 


E la Lombardia, la regione in cui vivi? 

La Lombardia è un laboratorio dove si sperimenta da anni “la chiamata diretta” nella formazione professionale regionale. Il modello che Valentina Aprea, Suor Anna Monia Alfieri, Forza Italia e il Pd vogliono proporre come modello di scuola pubblica nazionale. In Lombardia esiste già il costo standard e la “dote scuola”. L’assegno che arriva direttamente nei centri di istruzione e formazione professionale: 4.500 euro annui + 3000 se lo studente usufruisce della legge 104. Un vero affare. 

In questi centri ci sono i “famosi” docenti a chiamata diretta senza diritti. Vivono con pochissimi euro e li percepiscono ogni cinque sei mesi. Lavorano da diversi anni, riescono solo a pagarsi l’affitto, di supplenze nelle statali non se ne parla per colpa anche dei colleghi che arrivano da tutta Italia con punteggi gonfiati, ricevuti in quelle scuole paritarie che percepiscono i contributi statali e fanno pagare rette altissime agli studenti e che rilasciano ai docenti certificati discutibili ma purtroppo legali. 

I CFP (Centri Formazione Professionale) in Italia hanno i contributi regionali, rilasciano titoli professionali. Prima della riforma Moratti, le qualifiche rilasciate dalle Regioni avevano un valore solo territoriale e non erano equiparabili ai titoli di studio rilasciati dalla scuola. Ora, con l’ingresso dell’IeFP (Istruzione e Formazione professionale) nel sistema educativo, sia le Qualifiche, sia i Diplomi professionali diventano titolo valido – al pari di quelli scolastici – per l’assolvimento dell’obbligo di istruzione e del diritto dovere di istruzione e formazione. Sono poi spendibili e riconoscibili su tutto il territorio nazionale, perché riferiti a standard comuni, concordati tra le Regioni e approvati con Accordi Stato Regioni o in Conferenza Unificata. Il loro riferimento ai livelli europei (III° livello EQF per la Qualifica e IV° per il Diploma), li rende inoltre riconoscibili anche nell’ambito più vasto della Comunità Europea. 

In Lombardia il percorso educativo dei ragazzi dai 6 ai 18 anni è accompagnato e sostenuto dalla Dote Scuola, che raggiunge diverse tipologie di studenti (sia quelli delle scuole statali e paritarie di ogni ordine e grado; che quelli dei percorsi di IeFP) e prevede contributi – anche componibili tra loro – per premiare il merito e l’eccellenza e per alleviare i costi aggiuntivi sostenuti dagli studenti disabili. In particolare, il contributo che copre le spese di frequenza dei ragazzi iscritti ai corsi regionali di IeFP è la “Dote Scuola per l’Istruzione e Formazione Professionale”. La possono richiedere gli studenti residenti o domiciliati in Lombardia che si iscrivono alla prima annualità di un percorso di IeFP, attivato dagli enti di formazione accreditati al sistema regionale. 

Gli insegnanti in tutto questo sono l’anello debole del sistema di formazione. I contratti che questi centri utilizzano sono con paghe oraria da fame: co.pro., collaborazioni occasionali, partita Iva, ecc.. Bisogna arrivare a 30-32 ore a settimana per arrivare a 1000/1100 euro al mese senza considerare il tempo che dedichiamo alle riunioni, scrutini, esami, ecc. che non vengono retribuiti e devono anche pagarsi le spese di trasporto. Ma lo stipendio, se così si può chiamare, lo percepiscono ogni cinque mesi, anche se nel contratto c’è indicato che il pagamento avviene ogni 90 giorni. Le fatture vanno però emesse ogni mese e viene pagata anche l’Iva di un compenso ancora non ricevuto. Se questi docenti insegnano la materia per cui sono laureati ed iscritti in terza fascia, possono aggiornare il punteggio nelle graduatorie delle scuole statali. Il responsabile del Centro ti sfrutta anche per questo. Docenti che insegnano due materie mediamente in 6-8 classi da 23-26 alunni. Sono continuamente sotto pressione, sotto minaccia, sfruttati, appunto; non possono mai dire di no al direttore del Centro, altrimenti l’anno dopo non sono riconfermati e perdono quel minimo di continuità. Se poi aprono una vertenza sindacale, come è successo ad un collega in provincia di Brescia, non vengono più chiamati e a 45 anni – magari – si trovano a dover cambiare lavoro. 

Per non parlare degli studenti che frequentano questi centri di formazione: è considerata per tutti l’ultima spiaggia per un titolo di studio; si iscrivono “bocciati” dalle altre scuole, stranieri, ragazzi con infiniti problemi psicologici gravi e molti hanno anche problemi giudiziari. Spesso i docenti sono minacciati “fisicamente” dai loro stessi alunni, o da loro derisi pesantemente. Dovrebbero essere i cosiddetti “collaboratori esterni” a gestire in libertà l’orario e l’attività, ma tutti sanno che così non è; anzi, lavorano più dei colleghi che all’interno del centro hanno il contratto a tempo indeterminato, con zero diritti e mille doveri… Ecco il laboratorio lombardo. Una sperimentazione per la distruzione della scuola pubblica laica statale. 


Un laboratorio da anni portato avanti con l’avallo e la connivenza di tutti, compreso il partito di maggioranza oggi. Leggendo il documento la Buona Scuola del Governo e ascoltando queste tue parole, viene in mente che l’enfasi che il documento riserva al tema del lavoro (Scuola fondata sul lavoro, si intitola beffardamente uno dei capitoli) non può essere inconsapevole di questo quadro. Non stentiamo ad immaginare che la sperimentazione lombarda possa essere estesa ad altre regioni. Ma – a proposito di connivenze – quale è il tuo atteggiamento davanti al silenzio del Miur, dal dossier fino ad oggi? 

Gli interessi sono troppo grossi. La politica non può sputare nel piatto in cui mangia. I ministri che si sono succeduti, più che dimostrare la propria fedeltà allo Stato, hanno dimostrato la loro vicinanza al Vaticano, per quanto riguarda le paritarie confessionali. Per quanto riguarda i diplomifici, manca la volontà di smantellare un sistema che si basa proprio sulle connivenze, rispetto al quale esistono accordi trasversali. Non si procede, ad esempio, ad un controllo capillare dei requisiti di parità, perché si sa già che essi non vengono assolti. Non si procede a controlli incrociati dei versamenti degli stipendi dei docenti, per non toccare con mano le condizioni infamanti – a fronte di rette spesso molto alte pagate dagli studenti – in cui molti lavorano. Ci sono enormi incapacità e assenza di volontà da parte della politica italiana di fermare questo mercato degli schiavi (a volte consenzienti), neo laureati che non vengono pagati o retribuiti con al massimo cinque euro all’ora, in cambio dei punti per scalare le graduatorie nelle scuole pubbliche, partecipare ai corsi abilitanti e insegnare nella scuola statale. 

E la Guardia di Finanza? 

La Guardia di Finanza – con cui ho avuto un contatto diretto, come dimostrato a p. 283 – è ente accertatore in seguito a denuncia delle procure della Repubblica. Se le denunce non ci sono, perché mancano le visite ispettive e gli Uffici Scolastici Regionali si limitano a mandare anche alle scuole più a rischio di illegittimità un semplice modellino di autocertificazione, la Guardia di Finanza non deve e non può agire. 

Quale l’azione politica che possiamo organizzare tutti insieme? 

Il fatto che l’esponente di un piccolo sindacato scriva un libro così è molto indicativo. Se non c’è l’interesse e l’azione di un grande sindacato e della grande politica non si muove nulla.

Intervista pubblicata l'11 novembre 2014... da allora non è cambiato praticamente nulla.

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